Articolo scritto da Cisco per il Secolo XIX di Genova!

La prima scossa, quella di 10 giorni fa, ci ha sorpreso nel sonno. Avevamo capito che si trattava di qualcosa di importante, ma non ci siamo preoccupati più di tanto, forse per incoscienza, perché, al di là di quello che dicono dell’Emilia, qui piccole scosse ci sono sempre state. Tutto sembrava nella norma. Siamo scesi un attimo in strada e poi siamo tornati a dormire. Solo il giorno dopo, però, quando siamo usciti, ci siamo accorti del disastro. Il terremoto di ieri invece ci ha sorpreso tutti: eravamo abituati alle scosse di assestamento, ma nessuno di noi se ne aspettava una così forte. Quella dell’una soprattutto, mi ha colpito per la sua intensità: la casa ha tremato per alcuni lunghissimi secondi. Ho visto i mobili rovesciarsi, tutti i miei dischi cadere. Io vivo a Campagnolo d’Emilia, sono, in linea d’aria, una quindicina di chilometri da Cavezzo, molto vicino quindi all’epicentro. Abbiamo avuto paura, molta paura. Io, mia moglie e i miei due figli. Dall’altra notte abbiamo deciso di accamparci in una tenda nel giardino, entriamo in casa solo per usare il bagno e per prepararci da mangiare. Anche i miei genitori sono venuti qui, non se la sentivano di dormire a Carpi, perché nel loro appartamento al sesto piano il terremoto lo hanno avvertito, e forte. Dormono in macchina perché non è ancora disponibile un’altra tenda, mentre le sorelle di mia moglie hanno passato la notte sul pavimento al piano terra, pronte a scappare. La famiglia è unita insomma, e in momenti come questi è giusto che sia così. Non stiamo in casa, ma per quello che vedo intorno a noi è andata di lusso. Ho sentito degli amici che una casa non ce l’hanno più. Non è più agibile e ora vivono nelle tendopoli. Sono preoccupati, perché non sanno cosa ne sarà di loro, se verranno aiutati economicamente o se dovranno cominciare da zero, senza più un tetto sulla testa. Tutti siamo spaventati e sconfortati. Non sappiamo quando riprenderemo le nostre abitudini. E la cosa che più angoscia è questa attesa. L’attesa di una nuova scossa, che forse sarà più grossa, forse sarà spaventosa, chissà. Mi faccio coraggio guardando i miei figli. Hanno 2 e 4 anni, ma conservano una forza tutta loro, che a volte vivono come un gioco. Per loro dormire in tenda è come una vacanza, non li tenevamo più fermi. Però cominciano anche a capire cos’è il terremoto, appena sentono un rumore ci chiedono cos’è stato, leggono le nostre reazioni, e noi dobbiamo star calmi anche per loro, per non spaventarli. In questi momenti tutto sembra perduto. Basta farsi un giro. L’Emilia è in ginocchio, ma ce la faremo, ne sono sicuro. Penso però anche alla nostra tradizionale operosità. Ne sono orgoglioso certo, da emiliano. Ma credo anche che abbia fatto sì che le fabbriche fossero aperte in maniera troppo affrettata.  È giusto rimboccarsi subito le maniche, ma forse bisognava fermarsi un attimo a riflettere. Poi, è la terra dell’Emilia, certo, ma per la stragrande maggioranza chi è tornato a lavoro erano arabi, pachistani, immigrati dell’Est. Sono loro che portano avanti l’indotto industriale emiliano. Ecco perché, anche per loro, è importante ora, dopo questa tragedia, trovare il tempo per ripensare anche la nostra voglia di rimetterci in gioco davanti a qualunque cosa succeda. Ci sono segnali positivi in questo senso. Per tranquillizzare i bambini ieri mattina ho fatto un giro in macchina e ci siamo fermati al parco. Mi ha sorpreso il forte senso di comunità. C’era molta gente che ha dormito lì, accampata, e che preparava il barbecue. Condividevano il mangiare, le coperte per dormire, le idee. Ho visto uno spirito di comunione nella tragedia, tra italiani e arabi, indiani e pachistani. Erano lì seduti, sotto l’ombra di un albero, a guardare i bambini giocare. E mi ha fatto pensare che questa terra ancora una volta ce la può fare.